Max Bill non è un type designer!
“La tipografia”, scrisse, “è la configurazione di uno spazio, il risultato di funzione e materia. Definire la funzione e scegliere la materia, per ordinare lo spazio, sono i compiti del tipografo. Attraverso di esso vengono determinate la forma e l’espressione di uno stampato. La tipografia può essere usata in modi molto diversi. La soluzione semplice però rispecchia probabilmente la sua più intima essenza; proprio per questo è in generale, anche la più bella. Le eccezioni confermano anche qui la regola.” Max Bill fu type designer?
La sua creazione visuale è basata da colore, forma, spazio, luce e movimento; subisce un processo di form-giving per divenire concreta. Viene traslata dalla sua esistenza puramente intellettuale in un fatto concreto, diventa oggetto d’uso portatore di concetto ed allo stesso tempo visibile e tangibile. Se la sua arte è fondata sulla linea dritta e sull’assemblaggio di piani geometrici in proporzioni strettamente calcolate, altrettanto si deve pensare dell’approccio alle altre discipline progettuale delle quali è maestro. Così nell’applicazione della tipografia e nella scelta del mezzo più appropriato per questo o quel messaggio da comunicare. Dalla sua produzione grafico-artistica si nota come nel “gioco” delle immagini si manifesta la presenza costante di una regola, l’esperienza visiva data da flessibilità e interconnessione degli elementi costituenti, contemporaneamente alle loro necessità e funzioni. È evidente come riesca ad instaurare un rapporto con colui che sta guardando basato sull’armonia e la tranquillità rassicurante grazie al rigore compositivo. È protagonista del fare costruttivo, l’impegno è la sfida per raggiungere l’assoluto.
Disegna dei caratteri, concepiti come particelle base della tipografia e della scrittura in genere, possono essere innovativi veicoli di dimostrazione del pensiero nuovo. Anche in questo campo si nota la perfetta conoscenza dei canoni della nuova tipografia e delle sue ricerche attorno all’alfabeto universale - proprio nelle aule del Bauhaus con Bayer e Schmidt, o Tschichold o le avanguardie russe. Tra i primi esempi di lettering, disegna un carattere stencil - per il poster “verkauf” - che esprime gli stilemi dello “Zeitgeist” nel quale vive, memore dei “combination typefaces“ di Josef Albers. Nella creazione di caratteri tipografici segue due distinti canoni progettuali e stilistico-formali, uno relazionato al disegno e uno alla scultura. Entrambe vengono unite già nel 1932 in un disegno in cui si nota un “graphic linear” e “plastic round”. Partendo dall’idea bayeriana di un carattere universale, sviluppa due sistemi di lettering per la Neubühl e Wohnbedarf, due tipi fortemente geometrici, derivanti da un modulo a doppio cerchio, e soprattutto nel secondo egli sperimenta ogni forma possibile. La ragione per cui la forma strecciata della “o” in Wohnbedarf è da ricercare quasi certamente nella sua capacità di lettura laterale e scorciata, una volta proposta in un ambiente urbano, ma probabilmente non è tutto. Infatti il suo uso sistematico in ogni stampato riconduce piuttosto ad una ricerca formale legata ad un eco delle forme proposte da Le Corbusier per il giardino del Pavillion de l’Esprit Nouveau, vista da Max Bill nel 1925. È, quindi, manifesto di intenti razionalisti e, già, concreti. Ciò significa che la motivazione del modulo a doppio cerchio con il quale è costruito il lettering è da derivarsi nel mondo modernista al quale faceva parte e credeva sistematicamente.
Nelle tavole, lettere come f, m, n, r,u, w presentano aste verticali “principali” misuranti la larghezza del modulo e “secondari” che hanno una larghezza minore, generalmente relazionata con la minor larghezza dello spazio interno bianco, che non essendo “chiuso” come a,b,d,e,o,p,q, risulterebbe troppo grande. In diverse applicazioni è presente l’aggiustamento delle aberrazioni ottiche date dal congiungimento dei tratti circolari e i moduli orizzontali. Si può facilmente vedere questo tipo come geometrico piuttosto che modulato, ma l’accortezza con la quale vengono affrontati le questioni di rapporti da elementi della lettera denota una conoscenza delle proporzioni adatte alla lettura messe al servizio della sperimentazione modernista. È da tenere conto soprattutto che questo logotipo non vive mai senza la sua collocazione su un fondo colorato, generalmente nero — verde per neubühl —, utile sia per la consapevolezza dell’applicazione sistematica di una immagine aziendale come da leitmotif di del funzionalismo modernista.
Nel 1928 esce il libro di Tschichold “Die Neue Tipographie”, che delinea gli elementi fondanti (sans serif, block letters, uniformità tipografica, bilanciamento) contenente un riferimento ai caratteri della macchina da scrivere, spesso usati da Max Bill, intesi anch’essi come tipi effettivi e funzionali. Nel primo periodo professionale Max Bill usa in modo consistente le più idiosincratiche forme di comunicazione, ad esempi il rifiuto delle maiuscole, di derivazione bauhaussiana. “Noi non usiamo capitali, così risparmiamo tempo”, dall’insegnamento di Herbert Bayer. Egli, comunque, nel periodo del Bauhaus firmava i suoi lavori ad acquerello con il maiuscoletto e l’alto/basso. In occasione della sua prima mostra nel suo appartamento, - 1.2.29 - la comunicazione è senza maiuscole, ma con un romano graziato bold. Ha sempre osteggiato l’uso delle maiuscole, infatti, anche ad Ulm era regola e veniva applicata per ogni stampato e intestato interno. Per le comunicazioni esterne venivano rispettate le convenzioni a seconda del destinatario. Sin dai primi lavori, ha sempre considerato e rispettato il livello di “progressismo” del cliente. Nello stesso numero del magazine del Bauhaus nel quale è inserito il questionario di Max Bill viene pubblicato lo scritto “Schrift?” di Joost Schmidt nel quale discute sulla riforma del linguaggio e della scrittura tedesca già teorizzato da Porstmann e la progettazione del carattere “uniforme” e universale da Tschichold ad Albers e Bayer. Si tratta di un periodo storico in cui gli aspetti formali delle nuove tecniche comunicative, dalla pubblicità al film, sono centrali nelle discussioni dei ricercatori e degli addetti ai lavori fi no ai letterati in genere, quindi le forme classiche di divulgazione, dalla scrittura al disegno, vengono modificate progressivamente assimilando gli stilemi delle nuove idee e dei nuovi mezzi.
Max Bill incontra i problemi della forma della scrittura lavorando sulla carta, preparò centinaia di bozzetti per la mostra “konkrete kunst” di Basilea, 1944. Per il manifesto cercò di trovare un soggetto universalmente valido e un’altrettanto valida forma del testo.
In un primo momento la forma esatta scaturiva dalle forme delle lettere, in seguito erano le lettere a prendere forma dalla suddivisione geometrica dello spazio. La struttura diagonale della lettera “k”, presente ben 3 volte - come iniziale - e la conseguente similitudine della “b”, spinsero istintivamente ad una composizione diagonale. Gli angoli erano dati, la famiglia del carattere seguì di conseguenza. Il mix di maiuscolo e minuscolo ricorda il new typeface teorizzato da Tschichold nel 26-29 e da Schwitters in “New Graphic System Typeface” del 27.
Max Bill domina le forme “greche”, la font che disegna porta una forma più autonoma rispetto al puro servizio di lettura. Nel 1949 questo tipo viene riusato per il manifesto “Pevsner, Vantongerloo, Bill”, mostra alla Kunsthaus di Zurigo. In un qualche modo si noto come dia serialità alla sua persona inserita nel movimento d’arte concreta. Come una sorta di typeface istituzionale la utilizzarà nel 1960 per la sua personale a Winterthur e in due serie di francobolli per le poste svizzere (1947, 1974). Nel manifesto del 60 è evidente la combinazione formale tra le lettere e la forma astratta centrale a quadrato rotato, che propone un rapporto formale 1,2,3,4 tra gli elementi che lo compongono e un preciso bilanciamento bilanciamento tonale con il carattere. Quest’ultimo, causa le varie direzioni e relazioni, assume una valenza criptica, un’aura di mistero.
Il simile ordine simmetrico dimostra, in un esame accurato, di essere capace di una composizione ricca e stimolante. Si nota, inoltre, il collegamento tra la rottura dei tratti e l’unica lettera spezzata, la “a”, come un bilanciamento estremo tra ritmo e forme presenti sulla superfi cie del manifesto. Spesso sperimenterà sulle forme singole delle lettere, come nei bozzetti per il manifesto della mostra “Die Farbe”, Zurigo 1944 o per la mostra “Max Bill, Grafiken aus 30 Jahren”, Amburgo, 1970.
Agli inizi degli anni sessanta tenta, attraverso una serie di schizzi, pellicole e collage di stampe a contatto, la progettazione di un carattere derivato “dall’immagine delle parole”. La font doveva “dare leggibilità automatizzando macchine che enfatizzassero la tonalità delle vocali per aumentare la leggibilità.” Con questo argomento, memore degli insegnamenti del Bauhaus, prese in prestito lo slogan del Futura (Paul Renner, fi ne anni venti). L’idea, simile all’optofonetica di Schwitters, era di cercare una corrispondenza tra come le lettere appaiono al lettore e la loro effettiva forza acustica, inspessendo solo le vocali. Questo aveva come fine il velocizzare la lettura al passo coi tempi di grande sviluppo industriale, per far si che l’uomo potesse trarne dei vantaggi di produzione. Colpiscono le vocali e i loro spazi interni standardizzati di forma circolare, tema, quest’ultimo, ricorrente nei disegni di Max Bill, già dal 1933, in “Langen Plastik” e nei lettering di Neubühl e Wohnbedarf. I tratti terminali “non finiti” ricordano uno dei diagrammi di Joost Schmidt per un grottesco del 1925, tema trattato nelle sue (due) ore settimanali inserite nel corso propedeutico del Bauhaus, del quale è esplicativo ricordare la frase “4 cerchi in un quadrato; 3 linee verticali, 3 orizzontali; 2 diagonali grandi e 4 piccole: da questi elementi si possono ricavare tutte le lettere.” Altre forme “speciali” come “d”, “g” o “s” sono presenti nei disegni di Max Bill. Usò già nel 1934 la “s” priva del tratto terminale superiore in uno dei loghi non realizzati per il teatro Corso Varieté, inserita in una sequenza rigida di segni lineari. Questa ricerca parte dalla considerazione, già segnalata da Porstmann sulla doppia forma della “s” nell’alfabeto tedesco. In generale si nota come siano presenti alcuni elementi ricorrenti come la forma circolare interna delle minuscole e le forme nere per le vocali nelle forme tonde, così nei corsivi. Contrariamente alle ricerche fonetiche nel paragone con il carattere greco in quest’ultimo la forza è concentrata sulla forma della lettera, quindi sul gioco di ascendenti e discendenti delle consonanti e sul ritmo dei glifi tra di essi. In un ottica più generale si può notare che anche in altri linguaggi, ad esempio, la scrittura è dominata da consonanti e le vocali sono assenti o segnalate dall’aggiunta di punti segni tonali, come in arabo o ebraico. Erano quindi forti e vitali, nella mentalità dei suoi tempi le analisi delle più diverse forme di comunicazione per poterne trarre informazioni capaci di asservire al meglio alla realtà tecnologica moderna. In un altro caso estremo disegnerà un glifo completamente nuovo per il dipinto murale promozionale per “Pestalozzi & co” e per il poster “antik & modern”, un ampersand che poco o nulla ha del segno originale ma ricordandone la forma a cappio ne propone una forma nuova. Per Bill l’arte astratta inizia anche dalla forma delle lettere.
Tipografia è dare forma alla composizione del testo, nello stesso modo in cui la moderna pittura concreta da forma al ritmo della superficie del quadro. Le radici del suo approccio concretista si possono facilmente derivare dagli “incunaboli” del modernismo, in particolare nel costruttivismo con cui Herbert Bayer, dal 1925 gestisce il laboratorio di stampa al Bauhaus e i suoi progetti per gli intestati della scuola e del direttore. La tipografia della scuola - come l’eliminazione delle capitali - ha avuto una grande influenza sul giovane Max Bill. In ogni caso, fu molto flessibile, quando tornò a Zurigo scrisse: “non usare le maiuscole rende molto più semplice la composizione del testo di quanto non lo si faccia col metodo tradizionale; si possono avere diverse visioni su questo, ma è mi opinione che l’assenza di capitali è meno essenziale della standardizzazione, ad esempio, del formato della carta, anche se entrambe si sono sviluppate a partire dalle stesse considerazioni pratiche.” I suoi più noti lavori editoriali, infatti presentano lettere maiuscole convenzionali, spostando l’attenzione sulla manipolazione della composizione tipografica, per renderla più razionale e virtuosa.
Nel complesso utilizzerà caratteri “scrittura”, old face extrabold, egiziani, lineari condensati ed alcuni decorati e più frequentemente Akzidenz Grotesk normale e semibold, visto da tutti i designer di scuola svizzera come portatore di un’autenticità anonima e vernacolare. Per l’esattezza Max Bill utilizzava quella che era la versione della Monotype denominata Grot215. “Generalmente, seguendo lo standard dettato dal Bauhaus utilizzo lineari - sans serif - come tipi base, in altri casi lo sviluppo organico del testo può necessitare soluzioni adatte al contenuto.” Come per la brochure per il BauKreditZürich, nella quale la parola “zinsen” viene enfatizzata con un carattere gotico e cancellata. O per il magazine “Information” dove si usa principalmente il carattere della macchina da scrivere. Quest’ultimo viene utilizzato spesso per la sua larghezza standardizzata e l’eccedenza che ne risulta per le lettere convenzionalmente “strette”. “Per la comunicazione pubblicitaria moderna l’elemento individuale è completamente irrilevante. Così la calligrafia rococò è estremamente gradevole ed aggraziata ma non è altrettanto chiara e convincente di una lettera della macchina da scrivere.” La presenza controbilanciante del soggettivo Bill la manifesta attraverso la sua scrittura manuale — simbolo di se stesso — come per il catalogo della mostra personale di Parigi del 1971 e per i manifesti delle personali fino a tutti gli anni ottanta.
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Bibliografia
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max bill. typografie. reklame. buchgestaltung.
Gerd Fleischmann, Hans Rudolf Bosshard, Christoph Bignens. Niggli Verlag, Sulgen—Zürich, 1999.
max bill, pittore, scultore, architetto, designer.
Catalogo della mostra omonima presso Palazzo Reale, Milano, 2006. Curato da Thomas Buchsteiner e Otto Letze, il capitolo dedicato alla tipografia è curato e contiene un testo di Gerd Fleischmann. Originale in lingua tedesca: Hatje Cantz, 2005.
In italiano: Mondadori Electa spa Milano, 2006
Altri testi
Tipografia moderna, Robin Kinross, Stampa Alternativa & Graffiti, Nuovi Equilibri, Viterbo, 2005.
Abecedario, la grafica del novecento, Sergio Polano, Pierpaolo Vetta, Mondadori Electa spa, 2005.
Bauhaus, Magdalena Droste — Bauhaus Archiv, Benedikt Taschen Verlag gmbh, 1991.
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Analoghe ricerche sono state effettuate da Lineto e Foundry Types
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Illustrazioni
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sx Manifesto “abstrakte und surrealistische malerei und plastik”, Hans Arp e Walter Cyliax, 1929. dx in senso orario Bozzetto di proposta per logotipo per il “Corso—Theater”, dettaglio lettera “o”, 1934; Particolare dal pieghevole “dans la maison de verre” per Wohnbedarf, 1932; Particolare dell’immagine di Wechlin Tissot & Co, 1934. Logotipo “Dolmetsch”, dettaglio lettera “o”, 1935.
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sx Logotipo “ameublement” dal prospetto “dans le maison de verre”, 1932. dx Logotipo “neubühl” da prospetto informativo, 1931 e Logotipo “wohnbedarf” dalla facciata di un negozio, 1931.
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Bozzetti per il manifesto “konkrete kunst”, 1944
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sx Manifesto “konkrete kunst”, 1944 e Manifesto “pevsner, vantongerloo, bill”, 1949 dx Manifesto “max bill”, 1960.
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sx Il padiglione de “L’Esprit nouveau”, Le Corbusier, 1925. Parigi, Cours de Reine—distrutto. dx “konstruktion aus 30 gleichen elementen”, 1938-39.
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Copertina del catalogo del 1944 “Die Farbe in Natur, Kunst, Wissenschaft und Technik”,
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Vari specimen — negativo in pellicola e positivo tramite stampa a rilievo — del carattere optofonetico. Di questo tipo esistono gli schizzi positivi e le pellicole con i testi in negativo, la versone digitale è stata realizzata da Jay Rutherford nel 1997. dx sotto Particolare della “s” del carattere fonetico e dallo stesso glifo da una schizzo per il logotipo del ”Corso— Theater” del 1934.
Lo sviluppo e la struttura del carattere optofonetico ricostruito per questo articolo.
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sx “well—relief”, 1931—32 e Scheda strutturale di base della geometria dx Manifesto “negerkunst, prähistorische felsbilder südafrikas”, 1931.
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